
Partiamo dal presupposto che già disputare una competizione denominata Supercoppa Italiana a Jeddah, in Arabia Saudita (distante più di 5.400 km da Roma, per intenderci) è una stronzata. Sappiamo, però, che oggigiorno il mondo del calcio è, né più, né meno, un business che guarda prima ai soldi e poi a simboli, persone e tradizioni. Lo sappiamo, non lo accettiamo ma, nostro malgrado, ce ne facciamo una ragione.Quando però il santissimo Dio Denaro (volutamente in maiuscolo) fa dimenticare a dirigenti, amministratori e portabandiera del nostro calcio anche cosa siano il rispetto e la coerenza, allora un certo limite di decoro sta venendo oltrepassato senza ritegno.Rewind: torniamo indietro di circa un mese e mezzo. La Lega Serie A decide di appoggiare la campagna contro la violenza sulle donne facendo ‘marchiare’ i propri giocatori simbolo con un rossetto rosso sul viso. Dimostrazione nobile e condivisibile, se non fosse che appena un mese e mezzo dopo tutto il buonismo e le belle parole siano andate a farsi benedire. Sì, perché prima ho dimenticato di dirvi una cosa molto, molto importante: a Jeddah e, più in generale, in tutta l’Arabia Saudita le donne non sono ben accette all’interno degli impianti sportivi pubblici. Per cui una tifosa del Milan o della Juventus in possesso delle piene facoltà economiche per potersi permettere un volo per Abu Dhabi e un tagliando per il match sarà costretta, invece, a guardare la Supercoppa Italiana da casa, sul proprio televisore.Il fatto, che già di per sé costituisce un sopruso di genere, è uno schiaffo in faccia alle donne, ai tifosi e al calcio in generale. Forse è il caso che la Lega Serie A riesamini le proprie priorità. Certo, continuando a regalare loro spettatori e share come se nulla fosse non farà certo pensare ai signori del calcio che qualcosa vada rivisto. Vogliamo davvero lanciare un segnale forte? Il sedici gennaio anziché guardare la Supercoppa Italiana spegniamo i televisori.