
Abbiamo un forte problema sociale nel riconoscere la dignità umana alle donne. Ed il problema sorgerebbe anche nel momento in cui anche solo una persona, con il suo comportamento, mettesse in dubbio la parità a livello lavorativo, sessuale, di espressione e di libertà. Abbiamo costruito una società incentrata sul machismo, sull'uomo sopra tutto e tutti, sul dislivello paventato e manipolato che ha attuato le più crude disuguaglianze. Poi, non contenti, abbiamo creato la subalternità, le cose da "maschio" e le cose da "femmina": le azioni che, fatte da un uomo sono socialmente accettate e compiute da una donna diventano deplorevoli e socialmente vergognose. Abbiamo instaurato l'odio. Abbiamo giustificato la figura del padre padrone, del figlio maschio che, per "natura", è superiore alla femmina; alla moglie che non ha pari voce in capitolo nelle decisioni in famiglia, con la brutalità del coniuge tra le mura domestiche. E ancora, abbiamo integrato l'invidia. Specie nel lavoro. "Quella, chissà a chi l'ha data per avere quel posto"; "Amministratore delegato, una donna? Quanti ne avrà scopati per arrivare sin lì". E vi rivelo una cosa: questi comportamenti, purtroppo, li attuano entrambi i generi. Perché un'attitudine nociva entra nel cervello di tutti, nei comportamenti, nel linguaggio quotidiano, nei pensieri meno espliciti. Ed è una violenza e un'infamia pensare che una donna, "inferiore per natura", raggiunga risultati meritevoli solo in virtù di un mero "scambio" o favore sessuale. E' atroce e ci degrada ad animali, non forniti di ratio. Soprattutto nel non riconoscere che, talvolta, se nella storia sono mancate delle figure femminili in alcuni punti strategici, è perché è stato impedito loro di apportare un contributo. Perché per anni abbiamo vietato l'istruzione, la libertà di scegliere un marito, di tenere o no un bambino, di interrompere o no un matrimonio. Persino la libertà di pensare, abbiamo vietato alle donne. Poi abbiamo fatto di più. Abbiamo reso le donne "colpevoli" degli insuccessi dei maschi, incompresi, non capiti, bistrattati. "Tutte troie, tutte imbroglione, tutte meschine". "Io non sono come gli altri, ma tu non mi capisci, perché sei solo una troia" E, se rifiutati, si scatena l'ira più atroce, una rabbia sociale intrinseca che ha reso, oltretutto, il maschio "meno maschio" perché non ha "la ragazza", resa trofeo, mero oggetto, mobile da arredo. E se non usciamo da questo vortice adesso, educando i nostri figli, correggendo il linguaggio, ripudiando certi comportamenti pericolosamente diffusi... non ne usciremo mai.