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Valerio Saitta

Che fine ha fatto il nostro vivaio calcistico? I disastri di un sistema che non crede più nei propri giovani

2025-06-20 06:00

Valerio Saitta

Apertura, Sport,

Che fine ha fatto il nostro vivaio calcistico? I disastri di un sistema che non crede più nei propri giovani

Dal flop per la mancata qualificazione ai mondiali del 2018, alla gioia dell’Europeo del 2021 per poi sprofondare in quattro anni da incubo, con una n

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Dal flop per la mancata qualificazione ai mondiali del 2018, alla gioia dell’Europeo del 2021 per poi sprofondare in quattro anni da incubo, con una nuova mancata partecipazione ai Mondiali del 2022, la brutta figura ad Euro24 e il disastro di Oslo dello scorso 6 Giugno. Per chi ama il calcio e segue la Nazionale di Calcio, gli ultimi 10 anni sono stati un’altalena di emozioni contrastanti, che oggi però più mai sembrano essersi fermati in una rassegnazione generale. 
Perché ci sta di perdere, ma bisogna anche vedere come si perde. E quando si perde non creando nemmeno un’occasione da goal, quando si vedono calciatori sbagliare passaggi banali e non avere passione per la maglia, anche chi ama il calcio non segue più volentieri l’Italia.

A pagare per ultimo per questa situazione è stato Luciano Spalletti. Ora spetterà a Gattuso riassemblare i cocci di una nazionale a pezzi. Ma nonostante “ringhio” abbia sempre avuto un temperamento forte non è detto che riesca a trasmetterlo agli azzurri. Anche perché un CT non può fare miracoli e il problema vero ha radici più profonde, strutturali, che si insinua nella crisi del settore giovanile italiano. 
Dov’è finita la generazione degli eroi del 2006? Di gente attaccata alla maglia come Buffon Cannavaro, Nesta, Pirlo, Totti, Del Piero? Oggi non sembra esserci tra gli azzurri un leader vero e proprio, un degno rappresentante del calcio italiano all’estero. A parte Donnarumma, non c’è nessuno papabile per il Pallone d’Oro (e non c’è da anni). 

Questo perché la Nazionale fatica a trovare talenti all’altezza e i pochi emergenti vengono spesso bruciati troppo rapidamente o relegati in panchina nei propri club.
La Serie A, un tempo culla di campioni italiani, è oggi dominata da giocatori stranieri. Basta osservare le formazioni delle squadre di vertice: in alcune partite, gli italiani rappresentano l’eccezione, non la regola. Le statistiche sono chiare: nella stagione 2024-2025, solo un terzo dei giocatori impiegati in Serie A è di nazionalità italiana. In Premier League, che attrae campioni da tutto il mondo, la presenza di inglesi supera il 40%. L’Inter, la squadra italiana più rappresentativa in Europa e arrivata seconda nell’ultima Champions, ha solo tre calciatori italiani tra i titolari.

È evidente che il sistema calcistico italiano ha perso fiducia nei propri giovani. Le società preferiscono acquistare promesse straniere, spesso a basso costo, piuttosto che investire in strutture, tecnici, scouting locale e programmi di formazione. Tuttavia, senza un vivaio forte, è impossibile costruire una Nazionale competitiva e, soprattutto, uno «Stile italiano» capace di competere e di portare il tocco di genialità necessario per un cambio di passo. Francia, Germania, Inghilterra e Spagna da anni sfruttano politiche federali lungimiranti e raccolgono i frutti di questa strategia. Oggi siamo indietro rispetto ai principali paesi europei, e non possiamo più permetterci di ignorarlo.

Forse è arrivato il momento di ripensare il modello. Obbligo per le squadre di Serie A di schierare almeno un certo numero di italiani in campo? Introduzione di limiti al numero di stranieri nelle rose delle squadre professionistiche? Incentivi fiscali per chi investe nello sviluppo dei talenti italiani? 
Sono tutte ipotesi di cui si parla da tempo, ma finora nulla di ciò si è fatto. Probabilmente la colpa è anche di Gravina e dirigenti non all’altezza, poco coraggiosi nel prendere tali decisioni. Ma oltre alle normative, sono necessari investimenti concreti nei centri sportivi, nella formazione degli allenatori, nella didattica del gioco. 

Il calcio italiano insomma deve tornare a credere nel proprio futuro. E ci deve credere anche perché lo sport che si vuole potenziare nelle scuole, oggi è uno degli strumenti per rendere migliori i giovani. Perché con lo sport ti porta a credere in te stesso, a migliorare il tuo corpo e la tua mente. Per un giovane che oggi vive nell’insicurezza, l’attività fisica è fondamentale per stare meglio. Poi lo sport ti educa al rispetto dell’avversario e all’accettazione delle sconfitte. Si dice sempre che i giovani non sanno più accettare i no e i rifiuti. Ecco, quale miglior modo di accettare le sconfitte se non attraverso una sana competizione agonistica? E poi lo sport aiuta a socializzare, a togliere i ragazzi da quei dannati cellulari e quei computer, che li stanno portando all’isolamento all’interno di un mondo virtuale. 
Inoltre non dobbiamo dimenticarci che lo sport rafforza il senso di appartenenza e coesione nazionale, diventando uno dei principali strumenti di espressione dell’identità di una nazione. E nei giovani rafforzare il senso di appartenenza alla patria è importante.

Ci auguriamo che i vertici della politica riflettano davvero a dove si arriverà se non si deciderà per un cambio di rotta. Lo devono ai nostri ragazzi e a tutti gli italiani.