Oggi 15 marzo si celebra la Giornata della lotta contro i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), simboleggiata dal fiocchetto lilla. Diverse sono state le iniziative che nelle varie scuole italiane si sono tenute per sensibilizzare i giovani a questa tematica e per parlare dei problemi che può causare una scorretta alimentazione.
È un bene che se ne parli negli istituti scolastici perché purtroppo secondo i dati le vittime dei DCA sono per la maggior parte ragazze di età compresa tra i 17 e i 24 anni, ma già degli atteggiamenti “strani” nei confronti del cibo si evidenziano anche qualche anno prima.
L’origine di queste problematiche non è ancora del tutto chiara: molti sostengono che il punto di non ritorno è rappresentato dall’inizio di una dieta, ma sembra ormai certa l’influenza tra predisposizione genetica e fattori ambientali. Proprio sui fattori ambientali si aprono ampie discussioni: si pensa infatti che possa influire l’aver subito degli abusi durante la pubertà, anche in forma di bullismo, o aver vissuto all’interno di un nucleo familiare difficile (con la perdita di uno dei due genitori, contrasti con essi, ecc).
Anche i social oggi sembrano avere un ruolo determinante, soprattutto per le ragazzine che sviluppano anoressia nervosa. La continua visione di corpi perfetti, l’idea la bellezza ideale è data dalla magrezza, induce le giovani ad un patologico perfezionismo associata ad una bassa autostima.
Da questi elementi ecco che derivano quindi problemi di depressione e una condizione di stress cronico, che possono sfociare nell’esigenza di controllare l’unica cosa che una ragazzina o un ragazzino vede come veramente gestibile: il proprio corpo. Che cambia con l’età in fase adolescenziale e può cambiare ancora a secondo di quanto e di cosa si mangi.
Ma quali sono i dati più recenti riguardanti i giovani sui disturbi del comportamento alimentare?
L'Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma ha segnalato un allarmante incremento delle diagnosi tra i bambini, con un aumento del 64% rispetto al 2019, ovvero l’anno pre-covid. I sintomi possono già apparire all'età di 8 o 9 anni e colpiscono prevalentemente le femmine. Questo dato è in linea con quanto riportato a livello nazionale dal Ministero della Salute, che aveva già evidenziato un aumento del 35% dei casi a partire dall'anno successivo alla pandemia.
Le patologie alimentari comprendono una vasta gamma di disturbi, tra cui bulimia e anoressia, ma anche altre problematiche come il disturbo da alimentazione incontrollata, ovvero il bisogno di consumare grandi quantità di cibo, noto come “binge eating”, e il disturbo restrittivo limitante, caratterizzato da un basso interesse per il cibo. Questi disturbi possono avere conseguenze molto gravi, soprattutto nei pazienti più giovani e in fase di crescita, portando a danni alla salute e a ripercussioni psicologiche ed emotive, con un impatto negativo sul benessere psico-fisico generale.
L'aumento delle diagnosi di disturbi alimentari nei bambini tra i 9 e i 13 anni, come confermato dai dati dell'Ospedale Bambino Gesù, è accompagnato da un incremento delle terapie avviate nelle unità multidisciplinari, che coinvolgono sempre più frequentemente minori in questa fascia di età. Secondo quanto riportato da Valeria Zanna, primario del reparto, la maggior parte dei casi riguarda l'anoressia nervosa, che colpisce per il 90% le donne, e si manifesta sempre più precocemente. L'insorgenza è spesso associata alla pubertà, che nelle femmine tende a presentarsi prima, e dipende da diversi fattori.
Uno dei fattori più significativi è sicuramente la difficoltà di accettazione del proprio corpo, influenzata come detto prima da modelli di bellezza spesso proposti dai social network, che risultano poco realistici. In questo contesto, gli adolescenti sono particolarmente vulnerabili alle conseguenze negative, specialmente in relazione allo sviluppo di disturbi psicologici. Inoltre, dall'analisi dei vari casi emerge che i disturbi alimentari possono compromettere i rapporti e gli equilibri all'interno del nucleo familiare del soggetto colpito, il quale manifesta una maggiore fragilità emotiva e difficoltà nella comunicazione.